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"Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il sole". E' cominciata con queste parole l'intensa esperienza vissuta da 35 giovani dell'Azione Cattolica della diocesi di Fiesole sulle montagne di Saulze d'Oulx, in Piemonte, dal 4 all'11 agosto scorso. Le parole di Qoèlet ci hanno suggerito molte cose, utilizzare bene il tempo che abbiamo davanti, non lasciarselo scappare, non diventarne schiavi e subirlo passivamente ma viverlo a fondo e recuperarlo in una vera dimensione umana. Per ogni cosa c'è il suo tempo, ed il tempo del campo è stato un tempo prezioso che ci è stato dedicato, per capire chi veramente siamo: persone amate da Dio, in tutto e per tutto!
Questo comporta tante cose, in special modo l'accettare prima di tutto noi stessi, le nostre fragilità, le nostre difficoltà quotidiane, la fatica di un cammino che spesso vediamo senza futuro. E parallelamente uscire da noi stessi, evitando quel rischio di "farsi le domande e darsi le risposte da soli", e riuscendo ad affidare tutta la nostra persona a Dio, entrando in dialogo con lui e tramite quelle persone che Lui ci ha messo accanto. Quanto è difficile! presuppone prima di tutto che riusciamo a perdonare noi stessi, riconoscendo tutto ciò che non ci piace di noi!
Così stimolati dal tema del campo, "Libera la memoria per-donare", abbiamo provato durante la settimana ad affrontare questo tempo, a prenderlo, ad entrare in una vera relazione di amicizia con Dio, buttando giù quei muri che ci siamo costruiti (molto suggestiva è stata a questo scopo la visita al forte di Fenestrelle, muraglia costruita sulle paure verso l'altro e mai utilizzata), ricostruendo la fiducia nei suoi confronti e conseguentemente nei nostri confronti. Affidarsi: avere fede significa aver fiducia in Colui che ci offre una strada da percorrere ed in coloro che sono in viaggio con noi, per costruire una relazione autentica sulla roccia, che resista al tempo, e non sulla sabbia, in balia del vento delle cose non essenziali e del tempo che troppo spesso buttiamo via in cose futili.
Ed allora ripartire dal perdono, come vera rinascita e scoperta di noi stessi, come piena accettazione della nostra bellezza, della bellezza di Dio e della bellezza degli altri con cui costruire solide relazioni di amicizia rafforzate da uno stesso sentiero da percorrere, la via che ci porta alla Libertà. Nella seconda parte del campo, dalla dimensione personale siamo passati alla dimensione sociale, aiutati da Vittorio Rapetti, già delegato regionale dell’Azione Cattolica Piemonte, che ci ha aiutato a considerare il perdono come fondamento essenziale per costruire una comunità fondata sulla fiducia reciproca, che accetti anche la possibilità di perdere qualche “pecorella smarrita”. Ma non per questo abbandonarla, o peggio, giudicarla ed etichettarla, avendo sempre a mente la parabola del Padre Misericordioso, pronto sempre ad abbracciare suo figlio, e a perdonarlo, perché ogni persona necessita del proprio tempo per capire chi veramente è. Occorre solo scegliere di farlo, o scegliere liberamente di non farlo. Ma perderemmo quello Sguardo che fa la nostra vita più serena, meno schizofrenica, che ci fa affrontare le difficoltà e le conflittualità sotto un'altra luce, quella dello Spirito. Ognuno di noi può dunque scegliere di portare quella luce che ci ha toccati durante la settimana del campo nella nostra comunità, nei luoghi, nei contesti in cui viviamo. Ognuno può trasmettere questa gioia agli altri che hanno, come tutti noi, bisogno di capire quanto amore Dio ci dà.
E' stato bello sapere che in questo cammino non siamo mai soli, ed è stato bello aver suscitato in tanti la voglia di continuare un cammino più frequente nelle proprie parrocchie, durante l'anno, che spesso purtroppo non è presente. Quest'ultimo aspetto ci interroga tutti, specie il mondo dei giovani e degli adulti, sull'importanza di dedicare il nostro tempo per donare e camminare assieme in AC.
Un grazie sincero a Don Carlo Brogi e Don Fabio Celli che ci hanno accompagnato in questo percorso.
Le testimonianze che riportiamo qua sotto, di tre persone che hanno vissuto l'esperienza del campo, chi per la prima volta, chi per l'ennesima, ci suggeriscono di continuare ad annaffiare quel seme che sta nascendo. Insieme si può.
 
Andrea Sassolini
 

Maddalena: Sono arrivata al campo giovani a Sauze d'Oulx carica di aspettative dato che l'esperienza dell'anno precedente era stata fortemente positiva. Per certi aspetti sembrava difficile poter intraprendere una nuova avventura e mettersi pienamente in gioco. Il clima che si è venuto a creare fin dai primi momenti mi ha portato ad abbandonare ogni insicurezza e paura e a lasciarmi coinvolgere dalla positività e dalla coesione del gruppo.
Il campo si è rivelato un' ottima occasione per prendere del tempo per noi stessi attraverso i diversi momenti di riflessione e, allo stesso tempo, per sentirsi parte di un unico gruppo nel quale potersi confrontare nei momenti di condivisione. Tra le varie tematiche affrontate di particolare rilevanza è stata la riscoperta dell'essenziale, che ci ha condotto a riflettere su come oggi "il demone della velocità" ci faccia rimanere prigionieri di noi stessi, non facendoci cogliere ciò che nella nostra vita è di fondamentale importanza. Abbiamo, inoltre, "assaporato" il perdono di Dio, necessario per poter perdonare noi stessi e ci siamo interrogati sulla relazione tra la necessità di dimenticare le offese ricevute e l'importanza che la memoria ha per ciascuno di noi. Ovviamente il campo è stato anche un'occasione per consolidare amicizie di lunga data e allacciarne di nuove. Le serate, in particolare, sono state momenti importanti dove abbiamo potuto sperimentare un modo diverso di stare insieme: abbiamo compreso come sia possibile essere non semplici fruitori di divertimenti già prestabiliti, ma partecipanti che contribuiscono attivamente ognuno con la propria fantasia e creatività. Si può quindi comprendere come il campo sia veramente un'esperienza in cui, in qualsiasi modo tu possa arrivare - svogliato, poco motivato, spaesato - giungi alla fine con la sensazione che il tempo sia volato, con la certezza che il cammino appena intrapreso non debba finire. Ti ritrovi così a pensare alle future occasioni di incontro come unico sollievo a quel senso di vuoto che la conclusione del campo inevitabilmente porta con sé.

Monica: È molto difficile toglierci le nostre abitudini di dosso e imbattersi in qualcosa di nuovo. È come rompere una sorta di equilibrio che abbiamo faticato tanto per trovare. Ma ripensando all'esperienza che ho appena vissuto, quello che avevo trovato in realtà era un falso equilibrio. Che vita frenetica abbiamo noi giovani! Sveglia la mattina presto, di corsa a prendere il treno o immersi nel traffico della strada, andare a lavoro o a seguire corsi all'università. Se da un lato ci sembra di fare tutto per noi stessi, quando veramente ci prendiamo cura della nostra persona? A volte mi rendo conto di quanto il tempo scorra velocemente, senza che me ne possa rendere conto, senza che lo possa anche per un piccolo momento afferare, gustare, vivere. E a volte questo mi fa paura. Questo campo giovani è stato per me un campo "senza tempo", un campo dove mi sono completamente immersa, dove ho apprezzato ogni conversazione, ogni gesto donato e ricevuto dagli altri. Momento significativo è stato il deserto. Ho avuto un autentico contatto con Dio, un contatto che per molto tempo ho cercato. Dialogando con Lui sono riuscita a colmare quella sensazione di inadeguatezza, di vuoto. È inestimabile l'amore che Dio riesce donare se ci affidiamo, se ci apriamo veramente a Lui. L'ultimo giorno di campo ci è stato donato un piccolo momento di riflessione individuale. Il panorama non poteva non essere motivo di ispirazione. Ho guardato davanti a me: montagne imponenti che si sovrapponevano l'una all'altra, a ricordarmi i problemi e le difficoltà che dovrò affrontare una volta tornata a casa. Ma guardandomi ancora intorno ho acquisito una doppia consapevolezza che mi ha reso felice. Quelle montagne davanti a me non le sto guardando dal basso, poiché mi trovo su un'altra montagna. Venire al campo giovani è stata per me una sfida, scalare una montagna, un mettermi a nudo, un dover affrontare cose che per troppo tempo avevo cercato di rimuovere. Inoltre quella mattina a guardare le montagne, seppur a distanze diverse, c'erano altri giovani, quasi a volermi dire che non solo sola. Così torno a casa con la consapevolezza che un momento del genere, un'esperienza del genere sarà difficile da "riprodurre" una volta che si ricomincia a correre nella vita quotidiana. Ma torno anche con una nuova necessità, quella di affidarsi agli altri, di affidarsi a Dio. Quel Dio che, nonostante distogliamo lo sguardo da Lui, non ci abbandona.

Nicola: "Arrivare da forestiero e ripartire da amico": non so come né perché ma qualcosa mi diceva che non me ne sarei affatto pentito.
Quello di quest'anno, presentatomi durante un incontro di formazione per educatori, è stato il mio primo campo GV. La scelta di accettare l'invito è suonata nuova anche alle mie stesse orecchie: prima volta, non conoscendo nessuno, non erano cose che ero avvezzo a scegliere così temerariamente. Invece il campo si è rivelato incredibilmente ricco! Le aspettative erano alte e mi sono accorto che come me molti ragazzi si portavano dietro bagagli di esperienze da rivalutare, riordinare, alleggerire.
"Libera la memoria, per-donare", in quest'ottica il tema del campo è risultato veramente azzeccato. I giorni sono trascorsi rapidi e la velocità delle lancette dell'orologio cresceva all'aumentare delle amicizie, delle condivisioni, delle riflessioni.
Ho trovato un ambiente familiare da condividere con ragazzi unici. 
Ovviamente lasciare la vita comunitaria del campo e ritornare alla vita "quotidiana" è stato come sempre un po' disorientante, tuttavia per il futuro mi aspetto di far fruttare almeno in parte quei semi che mi sono stati lanciati e di affrontare la vita con un pizzico di fiducia in più: "La felicità è una scelta", mi è stato insegnato.

Spero vivamente di non perdere di vista nessuno dei ragazzi che ho conosciuto e già non vedo l'ora di rivederli tutti. Da qui il desiderio di poter condividere con loro un percorso più denso di incontri.Un saluto a tutti gli amici.

Chiara: Venendo da una parrocchia in cui da anni non esiste più alcun gruppo giovani, sono partita per il mio primo campo giovani dell'AC con una valigia piena di insicurezza e di paura: insicurezza per l'idea di trovare un gruppo già formato e affiatato e paura di non riuscire ad inserirmici.
Sul primo punto non mi sbagliavo, infatti tutti si conoscevano già da tempo e avevano fatto molte esperienze insieme, ma sul secondo... avevo fatto male i conti!
Sono rimasta spiazzata dalla realtà in cui sono stata catapultata, dal modo in cui mi sono sentita subito accolta e amata. Così l'esperienza di preghiera, gioco, servizio vissuta insieme agli altri ha portato alla condivisione non solo profonda, ma anche spontanea e naturale anche da parte di una “matricola” come me.
Quando sono ripartita la mia valigia si era svuotata dei timori e si era riempita di un'esperienza di Comunione, che ha fatto nascere in me il desiderio e il bisogno (che forse era un po' assopito) di rivivere la stessa atmosfera di famiglia anche durante l'anno.
I prossimi incontri? Già segnati nella mia agenda