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Riflessione di Don Carlo Brogi
Assistente generale dell'Azione Cattolica della Diocesi di Fiesole
 
In questi giorni singolari molte sono state le occasioni di preghiera con respiro universale, ed è significativo viverle in questa prospettiva. Siamo un popolo di Dio tra tanti popoli, culture e lingue, e assieme attraversiamo una stagione di deserto, che può farsi esodo verso una libertà più profonda.
E’ bene interrogarsi, allora, come cristiani, nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle associazioni, per acquisire chiavi di lettura che ci consentano di vivere certi passaggi come storia di salvezza, e contribuire a una lettura di operosa speranza. 
Le poche righe di questo contributo si collocano dopo il momento straordinario di preghiera presieduto da Papa Francesco venerdì scorso 27 marzo, con la benedizione Urbi et Orbi, che ha senz’altro segnato un commovente spartiacque nella nostra incerta traversata.  
Lì abbiamo visto e ascoltato nel Vicario di Cristo il nostro stesso grido: «…siamo perduti!». Come in una preghiera di colletta universale, attraverso il pontefice, tutta l’umanità, nei panni dei discepoli impauriti sulla barca agitata dalla tempesta, ha potuto finalmente intonare all’unisono questo grido. Siamo stati invitati a consegnare a Dio le nostre paure, a risvegliarne la presenza nella barca della nostra vita affinché Lui ci risvegli alla fede pasquale. 2020 03 27 PapaFrancesco
L’espressione di questo grido ci consenta di superare la fase delle inevitabili rimozioni e negazioni della prima ora, quando si è annaspato tra arcobaleni dipinti e riti propiziatori, oscillando tra sentimenti di riconoscenza per medici, infermieri e quanti si adoperano a gestire l’emergenza coronavirus, e ri-sentimenti con rabbia verso chi sembra ostacolare un decorso spedito della crisi, per mancanza di senso di responsabilità e di solidarietà, (di volta in volta i bersagli sono gente comune, politici, burocrazie, stati sovrani).
D’altronde «non ci sono parole che risolvano il dramma del male. Non è vero purtroppo che andrà tutto bene. Non è nemmeno vero che andrà tutto male. E non è vero che è colpa di qualcuno. Questi sarebbero tutti punti fermi, che esorcizzano il male irrisolvibile. (…) La questione non è come «venirne fuori», ma come «starci dentro». Non ci sono discorsi di chiusura, ma solo la necessità di individuare quali siano i dialoghi da tenere aperti perché questa «valle di lacrime» sia abitabile (…)». (Manuel Belli, Ritualizzare il dramma, Pensieri per nutrire discernimento, in Rivista di Pastorale Liturgica n°3, marzo 2020)
Il Papa ci ha collocati tutti dentro quella stessa barca del racconto evangelico che inizia «Venuta la sera» (Mc 4,35) nella tempesta che «smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità», che «ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità» (Papa Francesco, Omelia durante il momento di preghiera straordinario sul sagrato di Piazza San Pietro).
Il Santo Padre stesso nelle sue parole indica il secondo fondamentale passaggio che occorre compiere secondo l’appello del Signore, risvegliato a poppa della barca: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Un appello alla fede per andare a Lui e fidarsi di Lui. «Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. (…) il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni (…) che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). 
Scegliere Cristo, scegliere il dono di sé, esercitare pazienza e infondere speranza, seminando non panico ma corresponsabilità, è quanto fanno tanti «padri, madri, nonni e nonne, insegnanti» che «mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti».
In questo contesto la testimonianza cristiana di tutti e in particolare dell’apostolato dei laici sta assumendo una fisionomia essenziale, personale, capillare.
Essenziale: nella ridotta libertà di movimento e di comunicazione, occorre spendere parole di speranza, gesti di cura concreta, dialoghi e preghiere senza fronzoli, intrise di Vangelo e di autenticità. Vale poco il nascondersi dietro a ruoli e maschere, se tutti portiamo la sembianza di uomini e donne che si riconoscono fratelli e sorelle, vulnerabili e bisognosi l’uno dell’altro.
Personale: ai discorsi alle masse, e alle utili riunioni in videoconferenza, che alcuni compiti di responsabilità pubblica ovviamente richiedono, occorre preferire le singole conversazioni. Da un sincero interesse per ciascuno può accendersi una parola che intravede un futuro prossimo di creativa fraternità e solidarietà.   
Capillare: ogni giorno abbiamo qualche “prossimo” che ci è consentito avvicinare fisicamente:  familiari, vicini, colleghi di lavoro, membri della comunità. Da lì parta l’attenzione ai bisogni del corpo e dello spirito. Da lì la consapevolezza della missione di ogni battezzato. Quanti fanno parte di realtà organizzate accreditate ad aiutare le persone sole e a collaborare con l’amministrazione civile, sappiano testimoniare che, come dice ancora il Papa, nella croce di Cristo «siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire».
Penso che un compito alla portata di ciascuno di noi sia quello di recapitare con la semplice autenticità di chi sta imparando ad abitare la propria solitudine, il messaggio personale di quanto una persona è preziosa per me. Di quanto il Signore e la sua amicizia sono preziose per me. Di quanto mi manca e di quanto attendo con speranza il tempo dei ritrovati abbracci e delle liturgie comunitarie. Tutto ciò mi manca, ma non toglie respiro all’amore, alle attenzioni di ogni giorno, e affida le ferite dell’assenza e le suggestioni della paura a Colui che ha donato il suo corpo ferito alla Pasqua di Risurrezione. 
In attesa di intravedere gli scenari verso i quali saremo chiamati a risalire la china, alleniamoci alla tenace tessitura di relazioni umane solide e aperte al dialogo, al confronto, al pensiero, all’aiuto. E’ un patrimonio inestimabile. A maggior ragione custodiamolo e alimentiamolo nelle nostre comunità e associazioni. Ci aiuterà a costruire una società più giusta, un’economia più umana, una città più abitabile, una chiesa più profetica. 

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